giovedì 5 settembre 2013

Claustrofobia

La prima volta che sono entrata in questo posto ero felice di aver finalmente trovato una stanza bianca, liscia e vuota. Avevo appena aperto gli occhi al mondo ed i fari mi avevano accecata. Questi fari, gli stessi che oggi mi fanno sembrare più bella, che aiutano il fondotinta a coprire i miei brufoli da ragazzina. Poi guardando meglio ho notato che la luce dei fari era blu; ho pensato “va bene, adoro i colori, il blu è un’ottima base per dipingere”. Ancora accecata mi hanno spogliata e vestita con un’uniforme. Ho pensato “va bene, questa stanza non sarà che riempita dalla mia immaginazione”. Poi mi hanno messa in fila, legata ad una sbarra, incastrata diritta su una sedia, dato parole da leggere e non correggere, dipinto i capelli, cambiato la voce, truccato il viso, svuotato con forza lo stomaco. Ho pensato “va bene, sanno quel che fanno e lo fanno per farmi dipingere su quei muri bianchi…emmm….blu”

Sono tornata nella stanza, ormai abituata alla luce dei fari che non mi accecava più, abituata all’uniforme che si era attaccata alla mia pelle. Sono tornata in quella stanza di notte, con i fari spenti. Ho notato specchi sui muri, sedie sul pavimento, sbarre e teli neri sul soffitto. Mi sono specchiata e ho notato di avere le gambe storte, le sopracciglia diverse, la pancia gonfia, i piedi piatti e la schiena gobba. E la mia pancia era flaccida come quella di una quarantenne a lutto. Ho vomitato, ho vomitato tanto. Ed ora questa stanza puzza anche, del mio vomito.

Me ne vado da questa stanza sudicia, me ne vado in una stanza piena e colorata che non pretende d’esse vuota. o su una collina, magari in Austria, che non ha muri.