La
prima volta che sono entrata in questo posto ero felice di aver
finalmente trovato una stanza bianca, liscia e vuota. Avevo appena
aperto gli occhi al mondo ed i fari mi avevano accecata. Questi fari,
gli stessi che oggi mi fanno sembrare più bella, che aiutano il
fondotinta a coprire i miei brufoli da ragazzina. Poi guardando meglio
ho notato che la luce dei fari era blu; ho pensato “va bene, adoro i
colori, il blu è un’ottima base per dipingere”. Ancora accecata mi hanno
spogliata e vestita con un’uniforme. Ho pensato “va bene, questa stanza
non sarà che riempita dalla mia immaginazione”. Poi mi hanno messa in
fila, legata ad una sbarra, incastrata diritta su una sedia, dato parole
da leggere e non correggere, dipinto i capelli, cambiato la voce,
truccato il viso, svuotato con forza lo stomaco. Ho pensato “va bene,
sanno quel che fanno e lo fanno per farmi dipingere su quei muri
bianchi…emmm….blu”
Sono tornata nella stanza, ormai abituata
alla luce dei fari che non mi accecava più, abituata all’uniforme che si
era attaccata alla mia pelle. Sono tornata in quella stanza di notte,
con i fari spenti. Ho notato specchi sui muri, sedie sul pavimento,
sbarre e teli neri sul soffitto. Mi sono specchiata e ho notato di avere
le gambe storte, le sopracciglia diverse, la pancia gonfia, i piedi
piatti e la schiena gobba. E la mia pancia era flaccida come quella di
una quarantenne a lutto. Ho vomitato, ho vomitato tanto. Ed ora questa
stanza puzza anche, del mio vomito.
Me ne vado da questa stanza
sudicia, me ne vado in una stanza piena e colorata che non pretende
d’esse vuota. o su una collina, magari in Austria, che non ha muri.