sabato 30 agosto 2014

Merda gialla

"Lo mangi?" 
Le sue mani erano già tutte appiccicose
"Ti ho chiesto, lo mangi? Intendo con la bocca, la lingua e tutto il resto. Non credo che i pori della tua mano siano dotati di apparato digerente e riescano a risucchiare quel gelato sciolto."
Emma cercava di essere simpatica. Cercava sempre di farlo, ma era sempre attenta a non esserlo in modo banale, come tutti gli altri.
"Vorrei sentirti fare una volta una battuta normale, senza che tu devi per forza inserirci un qualche termine scientifico come "pori" o "apparato diger..."
"Debba", si affrettò Emma a correggere
"Appunto". 
Fabio fece una pausa studiata.
"Vedi, è questo il tuo problema, non riesci a fare a meno di dimostrare agli altri di essere migliore, perchè sai il congiuntivo, usi parole difficili ecc. Ho letto questo, sono stata qui, ma non come fanno gli altri, sia chiaro, in modo singolare e molto personale"
Emma non capiva, e allora taceva.
"La tua merda è uguale alla mia. Anche se vai a farla in Cina,"
Emma tratteneva il fiato.


Il mattino seguente Emma partì proprio per la Cina. Appena arrivò mandò a Fabio una foto della sua merda.
Le sembrava un po' più gialla.

mercoledì 9 luglio 2014

Sinonimi

Due esseri simili. Due persone che vivono la stessa miseria, ma hanno scelto di farlo in modo diametralmente opposto.

Erica vive la sua miseria in un ostentato entusiasmo. Stefano vive la sua miseria in un estremo pessimismo. La prima si affeziona a tutto, il secondo a niente. Lei si perde in ogni minima illusione di felicità, lui non riconosce nemmeno i più grandi successi.

Erica è affezionata a Stefano. Stefano no. Erica pensa che siano amici, che stiano bene insieme, che potrebbero diventare amanti da un momento all'altro.
Stefano non pensa mai a lei, e se capita un pensiero su di lei, lo allontana.

Erica si mette un bel completino intimo tutte le volte che si vedono, sperando che lui la spogli. Stefano vorrebbe scopare, ma non vede Erica. Stefano vorrebbe una fica, non ha abbastanza fantasia per masturbarsi.

Erica torna a casa, si guarda allo specchio e pensa di essere bella. Stefano torna a casa, non esce da casa, è sempre in casa, pensa che non valga la pena uscire.

Erica sorride e riempie il silenzio di Stefano con inutili parole. Stefano odia le parole inutili; la zittisce senza sorridere.

Erica pensa che Stefano sia bello. 

Stefano pensa di essere brutto.

domenica 6 luglio 2014

Cinema

Dovrebbero filmarmi in questo momento. Sarebbe una bella inquadratura.

Davanti a me un film in cui Natalie Portman si sta per innamorare del fortunato attore che condivide con lei la scena. Di fianco a me, una coppia australiana che fa tappa nell’ostello in cui “abito”. Entrambi belli, giovani ed innamorati. Parlano di cose inutili, non importanti. Stanno vicini, i loro corpi a contatto. Vorrebbero fare l’amore. Ma ci sono io. Vorrei smettere di guadare il film e guardarli mentre si amano. Voglio guardarli mentre si guardano negli occhi. E’ un po’ questo il cinema, no? Entrare nell’amore di due estranei, ma non aver paura di guardare, non sentirsi “il terzo incomodo”. Vorrei guardarli per sentire il loro amore, senza esserne gelosa o invidiosa. Solo perché è bello vedere due giovani ragazzi che si amano e viaggiano assieme.



Fate l’amore amici. Fate l’amore fratelli. Amo il vostro amore.


sabato 5 luglio 2014

Tetris


Sta facendo l’amore con lei.
Posso vederli. Come si muovono. Come si “amano”. 
Mi fanno schifo, loro due. Non c’è armonia, tra loro. Non c’è nemmeno controtempo.
Si amano per abitudine ed il tempo li ha fatti rallentare. I loro baci si incastrano, le loro ferite non si restringono. Posso vederli mentre tentano di incastrarsi, mentre i loro corpi cercano di trovarsi, mentre i loro capelli non puntano verso il cielo. Le loro mani si intrecciano ma non si cercano, i loro vestiti si ammucchiano nei consueti angoli, i loro occhi non si vedono, i loro letti si conoscono a memoria. Le loro consuetudini li rendono sicuri. Il modo in cui lei crede di farlo sentire speciale, sentendosi sensuale, credendosi speciale. Lui la crede bella, bella nella sua semplicità, nella sua mancanza di pretese, nel suo non voler esser di più. 
Ma lei è davvero bella. Lei non regge confronto, per lui. Lui conosce il suo corpo a memoria e ama la sua pelle fragile in ogni striatura, in ogni smagliatura, in ogni imperfezione. 


E se l’amore fosse più che una “m” prima di una “p”? E se l’amore non fosse una regola matematica o fisica? E se l’amore non fosse una taglia di reggiseno? 
Un giorno vissuto, vale più che una vita immaginata.

Emma crede che credere sia troppo questa notte. Emma vorrebbe solamente qualcuno che la facesse sentire bella, magari speciale, questa notte. 

Emma vorrebbe un corpo da non dover conoscere.

giovedì 1 maggio 2014

Ferma

Quanti mesi di silenzio.

In questi mesi Emma aveva studiato molto.
Perché si studia? Per apprendere ciò che già è stato scoperto, al fine di partire da quella conoscenza per progredire.


Emma aveva studiato il modo di vivere delle altre persone. Le loro camminate, i loro sguardi, il modo in cui un bambino lecca un gelato e le varie strette di mano tra adulti. Ma ciò che più aveva interessato Emma, ciò che più avrebbe voluto imparare, era il far nulla, il dolce far nulla. Aspettare, stare. Stare ferma senza sentire il bisogno di muoversi, aspettare un amica senza tirare fuori il cellulare, concedersi un paio d’ore di ozio senza maturare sensi di colpa.


Emma aveva una paura tremenda di non fare nulla.

venerdì 17 gennaio 2014

Lo sai che i papaveri


 “Grazie signorina, le faremo sapere entro domani, arrivederci”

La porta si richiuse e il candidato numero 273 entrò in uno stato d’ansia molto evidente quando realizzò che di lì a poco sarebbe stato il suo turno. Tremore delle mani, movimenti meccanici ed ininterrotti delle labbra, oscillazioni del corpo incontrollate e indifferenza totale al sole che gli era appena sfrecciato accanto in direzione dell’uscita, e che in un tempo da record già rischiarava la stazione metropolitana accanto.

Il sole si chiamava Emma ed oltre ad avere lunghi capelli dorati risplendeva grazie ai suoi occhi marroni, occhi in cui abitava un sorriso così luminoso da far rimpiangere alla maggioranza dei passeggeri del treno di non aver in borsa un paio di occhiali scuri.

“Arrivederci. A rivederci. A vederci di nuovo. A vedere noi di nuovo. A vedere noi di nuovo insieme un’altra volta. A vedere me e gli esaminatori di nuovo qui in futuro. A vedere di nuovo in futuro gli esaminatori in contesto scolastico. A vedere di nuovo in futuro qui gli esaminatori in veste di miei professori. Mi hanno presa.”

Persa nei pensieri, perse la coincidenza che l’avrebbe dovuta portare a casa. Quel pomeriggio Emma perse molte cose: il treno, un guanto e la forza di gravità. La prima fu una perdita di poco valore perché rimandò solamente l’ora in cui si sarebbe concessa un bel bagno caldo. Si accorse della seconda perdita con un’ora di ritardo, mentre si rilassava immersa in acqua e sommersa da bolle di sapone che sapevano di fragola. Della terza perdita non se ne accorse.

Chi la notò fu invece il candidato numero 273 che, quando entrò nella stanza in cui lo attendevano gli esaminatori, si sentì andare sotto terra. E così, quel giorno, mentre i pensieri di Emma si trasformarono in papaveri alti alti alti, quelli dello sfortunato numero 273 divennero piccole margherite appassite. La mente di Emma viaggiava molto in alto e le sue aspettative non erano da meno: era certa che l’indomani gli esaminatori l’avrebbero chiamata per dirle che, dalla settimana seguente, avrebbe iniziato le lezioni nella scuola che da sempre sognava di frequentare.

Emma si era sentita speciale fin dall’infanzia e, mentre gli altri ragazzini della sua età si godevano con spensieratezza quella giovinezza, lei faceva lo stesso, ma studiando e dandosi da fare per gli obiettivi che si era prefissata. Così ha 4 anni non si iscrisse a danza classica come tutte le bambine, ma imparò prematuramente a leggere; a 10 invece di essere in gita con i suoi coetanei, prendeva lezioni private di inglese e a 16, quando i ragazzi andavano in discoteca e si concedevano ai primi amori, lei rimaneva nella sua stanza gialla a scoprire mondi nuovi grazie ad una vastissima libreria. Emma sapeva che il candidato numero 272 sarebbe stato ammesso, sapeva che il giorno seguente le sarebbe arrivata una chiamata alla quale avrebbe risposto con gioia e sicurezza. Lo sapeva da sempre.

Avendo perso la forza di gravità la sua immaginazione si spinse ben oltre l’ottimismo che in genere si concedeva e ripercorse i momenti dell’esame di ammissione trasformando ogni smorfia dei membri della commissione in un evidente segno positivo della sua futura ammissione. L’esaminatore col tic all’occhio divenne un uomo che era stato istantaneamente affascinato da lei e che, per questo motivo, le faceva l’occhiolino in segno di complicità ogni volta che i loro sguardi si incrociavano. L’anziana signora che le poneva domande e rispondeva con sorrisi era evidentemente molto interessata e rapita dalla sua prova. Le parole del presidente della commissione, nella memoria di Emma, portavano solamente messaggi positivi indice della sua prossima ammissione. Specialmente quella ultima frase, quell’arrivederci, non poteva che essere un buon segno. Ed infatti era stato quello l’istante in cui Emma aveva perduto la forza di gravità, o meglio, l’aveva abbandonata

Dopo il bagno di bolle di sapone colorate che riflettevano la luce emanata dal sole-Emma, arrivò l’ora della cena, la quale si rivelò più gustosa e colorata del solito, così come profumata era l’aria che respirava ed amplificati i suoni ed i rumori degli ambienti in cui si trovava. Persino lavarsi i denti fu una grande scoperta quella sera, perché guardandosi allo specchio notò che la luce emanata dai suoi occhi rendeva meno visibili quei brufoletti che ancora vagabondavano per il suo viso. Quella notte i suoi problemi di insonnia non si presentarono e cadde in un sonno profondo non appena i suoi capelli dorati sfiorarono il cuscino. Sognò, sognò molto quella notte. Sognò di trovarsi molto in alto tra colori, immagini, suoni e profumi.

Arrivò domani il giorno dopo e giunse, come avviene d’autunno, un po’ in ritardo e con colori diversi rispetto allo ieri appena trascorso. I papaveri non sono sempre alti alti alti a novembre, mentre qualche margherita appassita sopravvive al freddo. E in quel domani un giovane universitario si fermò a raccogliere quella margherita, e lo fece per sperare che quella ragazza dai capelli dorati potesse per una volta provare ad innamorarsi invece di accecare la gente con i suoi obiettivi alti come grattacieli, obiettivi che non sono alla portata nemmeno dei papaveri più alti e belli.


E m’ama non m’ama i petali staccati iniziarono a danzare nel vento e salendo salutarono dal’alto i papaveri che ancora dovevano nascere, che ancora dovevano crescere.

domenica 5 gennaio 2014

Fabio - il dilemma del colore

[secondo episodio....tac!]

Fabio aveva all'incirca 21 anni quando iniziò a vivere. La sua vita iniziò il giorno in cui si accorse di non avere un colore preferito e decise, poi, per il blu. Fu la sua prima vera decisione. Prima di quel momento aveva accettato ogni cosa come consuetudine, come giusto costume. I suoi amici erano i ragazzi della porta accanto, a 7 anni aveva iniziato a giocare a calcio come tutti i bambini del quartiere, era andato al liceo perché suo fratello maggiore aveva fatto quella scuola; la sera andava in discoteca con gli amici e d’estate in vacanza a Rimini; si era fidanzato con una sua compagna del liceo e faceva l’amore con lei ogni sabato pomeriggio nella sua casa in campagna; si era iscritto ad ingegneria perché la professoressa di matematica diceva che era portato per i calcoli e non andava in chiesa perché la religione era solo per i creduloni. 
Aveva fatto tutto come doveva essere fatto.

Poi un venerdì sera una ragazza che non aveva mai visto gli chiese:  <<Qual è il tuo colore preferito?>>. Occhi scuri, ma accesi. Non troppo alta, ma slanciata. Capelli scuri, ma con riflessi rossi. Naso schiacciato, ma bello. Pelle bianca, ma piena di lentiggini. <<Boh>> rispose Fabio con sincerità <<Non ci ho mai pensato>>. La ricerca del colore giusto fu l’argomento portante della serata. Nel corso della conversazione Fabio scoprì che la ragazza di fronte a lui si chiamava Emma, aveva 21 anni e studiava alla facoltà di Geologia. Quella sera Fabio le offrì da bere e alla fine della serata le diede un bacio. 
Quel bacio fu l’inizio di una splendida amicizia.

Iniziarono a vedersi spesso, con facilità, senza pretese, senza accondiscendenze. Ognuno faceva le sue cose, studiava per i suoi esami, ma ogni pausa era buona per una chiacchierata. Fu grazie ad Emma che Fabio capì che il suo colore preferito era il Blu. Lo scelse tra tutti i colori perché aveva personalità e classe. Il colore preferito di Emma era, invece, il blallo: gli aveva spiegato che era un colore nuovo che lei non conosceva ancora, ma che avrebbe un giorno scoperto [Reese aveva solo scoperto il verde, si sapeva]. A Fabio facevano ridere i discorsi di Emma ed inizialmente l’aveva scambiata per una ragazza con la sindrome di porto-il-sole-in-tutti-i-cuori e con un ottimismo esasperante, ma imparando a conoscerla aveva capito che era il suo modo di comunicare. Lei cercava il blallo perché gli altri colori non la soddisfacevano. Emma aveva capito prima di lui di dover scegliere un colore, ma non era ancora stata in grado di farlo. Così Emma faceva domande che Fabio non si era mai posto, e lui trovava risposte per entrambi. Erano una bella coppia.

Grazie ad Emma, Fabio iniziò a scegliersi gli amici, le ragazze, gli hobby e persino i vestiti. Scelse anche l’università, e per fortuna si decise per quella che stava già frequentando. Iniziò a leggere su consiglio di Emma e presto fu lui a regalarle libri ad ogni ricorrenza. Emma lo convinse anche a vedere qualche film indipendente, ma Fabio scelse che il cinema non faceva proprio per lui.

Ogni tanto Emma se ne andava. Lasciava gli studi per qualche mese, una volta lo fece per un anno intero. Fabio la amava quando se ne andava. La amava perché la immaginava in posti diversi, lontani, dove lui non sentiva la necessità di andare. Poi Emma tornava e si lamentava con lui di non aver trovato il blallo, e allora lui non l’amava più, ma iniziava di nuovo a volerle bene.

Nonostante i suoi intervalli, Emma si laureò solamente 6 mesi dopo di Fabio. Una volta avuto il pezzo di carta cambiò completamente. Prese casa, vinse un dottorato di ricerca e smise di cercare il blallo. Anche Fabio vinse un dottorato. Dopo la laurea continuarono a vedersi, ma i loro orari differivano, Fabio aveva una ragazza ed Emma una ragazza diversa ogni sera. Si frequentavano ancora, ma senza intimità. Erano sempre in gruppo ed evitavano di rimanere soli. Fabio aveva paura di rimanere solo con lei perchè i suoi sguardi lo mettevano a disagio. Era come guardare negli occhi una persona che avevi visto nuda, così molto spesso abbassava lo sguardo intimidito e con le guance che arrossate. A Fabio mancava l’intimità che avevano avuto anni prima, ma non la voleva riscoprire allo stesso modo.

Emma gli aveva permesso di imparare a scegliere. Ora doveva decidere se scegliere o meno Emma e questa volta lei non lo poteva aiutare.

[...continua]