“Grazie signorina, le faremo sapere entro
domani, arrivederci”
La porta si richiuse e il
candidato numero 273 entrò in uno stato d’ansia molto evidente quando realizzò
che di lì a poco sarebbe stato il suo turno. Tremore delle mani, movimenti meccanici
ed ininterrotti delle labbra, oscillazioni del corpo incontrollate e indifferenza
totale al sole che gli era appena sfrecciato accanto in direzione dell’uscita,
e che in un tempo da record già rischiarava la stazione metropolitana accanto.
Il sole si chiamava Emma ed oltre
ad avere lunghi capelli dorati risplendeva grazie ai suoi occhi marroni, occhi in
cui abitava un sorriso così luminoso da far rimpiangere alla maggioranza dei
passeggeri del treno di non aver in borsa un paio di occhiali scuri.
“Arrivederci. A rivederci. A
vederci di nuovo. A vedere noi di nuovo. A vedere noi di nuovo insieme un’altra
volta. A vedere me e gli esaminatori di nuovo qui in futuro. A vedere di nuovo
in futuro gli esaminatori in contesto scolastico. A vedere di nuovo in futuro
qui gli esaminatori in veste di miei professori. Mi hanno presa.”
Persa nei pensieri, perse la
coincidenza che l’avrebbe dovuta portare a casa. Quel pomeriggio Emma perse
molte cose: il treno, un guanto e la forza di gravità. La prima fu una perdita
di poco valore perché rimandò solamente l’ora in cui si sarebbe concessa un bel
bagno caldo. Si accorse della seconda perdita con un’ora di ritardo, mentre si
rilassava immersa in acqua e sommersa da bolle di sapone che sapevano di
fragola. Della terza perdita non se ne accorse.
Chi la notò fu invece il
candidato numero 273 che, quando entrò nella stanza in cui lo attendevano gli
esaminatori, si sentì andare sotto terra. E così, quel giorno, mentre i
pensieri di Emma si trasformarono in papaveri alti alti alti, quelli dello
sfortunato numero 273 divennero piccole margherite appassite. La mente di Emma
viaggiava molto in alto e le sue aspettative non erano da meno: era certa che l’indomani
gli esaminatori l’avrebbero chiamata per dirle che, dalla settimana seguente,
avrebbe iniziato le lezioni nella scuola che da sempre sognava di frequentare.
Emma si era sentita speciale fin
dall’infanzia e, mentre gli altri ragazzini della sua età si godevano con
spensieratezza quella giovinezza, lei faceva lo stesso, ma studiando e dandosi
da fare per gli obiettivi che si era prefissata. Così ha 4 anni non si iscrisse
a danza classica come tutte le bambine, ma imparò prematuramente a leggere; a
10 invece di essere in gita con i suoi coetanei, prendeva lezioni private di
inglese e a 16, quando i ragazzi andavano in discoteca e si concedevano ai
primi amori, lei rimaneva nella sua stanza gialla a scoprire mondi nuovi grazie
ad una vastissima libreria. Emma sapeva che il candidato numero 272 sarebbe
stato ammesso, sapeva che il giorno seguente le sarebbe arrivata una chiamata
alla quale avrebbe risposto con gioia e sicurezza. Lo sapeva da sempre.
Avendo perso la forza di gravità
la sua immaginazione si spinse ben oltre l’ottimismo che in genere si concedeva
e ripercorse i momenti dell’esame di ammissione trasformando ogni smorfia dei
membri della commissione in un evidente segno positivo della sua futura
ammissione. L’esaminatore col tic all’occhio divenne un uomo che era stato
istantaneamente affascinato da lei e che, per questo motivo, le faceva
l’occhiolino in segno di complicità ogni volta che i loro sguardi si
incrociavano. L’anziana signora che le poneva domande e rispondeva con sorrisi
era evidentemente molto interessata e rapita dalla sua prova. Le parole del
presidente della commissione, nella memoria di Emma, portavano solamente
messaggi positivi indice della sua prossima ammissione. Specialmente quella
ultima frase, quell’arrivederci, non poteva che essere un buon segno. Ed
infatti era stato quello l’istante in cui Emma aveva perduto la forza di
gravità, o meglio, l’aveva abbandonata
Dopo il bagno di bolle di sapone
colorate che riflettevano la luce emanata dal sole-Emma, arrivò l’ora della
cena, la quale si rivelò più gustosa e colorata del solito, così come profumata
era l’aria che respirava ed amplificati i suoni ed i rumori degli ambienti in cui
si trovava. Persino lavarsi i denti fu una grande scoperta quella sera, perché
guardandosi allo specchio notò che la luce emanata dai suoi occhi rendeva meno
visibili quei brufoletti che ancora vagabondavano per il suo viso. Quella notte
i suoi problemi di insonnia non si presentarono e cadde in un sonno profondo
non appena i suoi capelli dorati sfiorarono il cuscino. Sognò, sognò molto
quella notte. Sognò di trovarsi molto in alto tra colori, immagini, suoni e
profumi.
Arrivò domani
il giorno dopo e giunse, come avviene d’autunno, un po’ in ritardo e con colori
diversi rispetto allo ieri appena trascorso. I papaveri non sono sempre alti alti
alti a novembre, mentre qualche margherita appassita sopravvive al freddo. E in
quel domani un giovane universitario si fermò a raccogliere quella margherita,
e lo fece per sperare che quella ragazza dai capelli dorati potesse per una
volta provare ad innamorarsi invece di accecare la gente con i suoi obiettivi
alti come grattacieli, obiettivi che non sono alla portata nemmeno dei papaveri
più alti e belli.
E m’ama non m’ama
i petali staccati iniziarono a danzare nel vento e salendo salutarono dal’alto
i papaveri che ancora dovevano nascere, che ancora dovevano crescere.