[Ecco l'inizio di quello che dovrebbe essere un racconto a puntate.]
Dicono che gli occhi siano lo
specchio dell’anima.
Emma ci credeva, ci aveva sempre
creduto e per questo motivo era sempre alla ricerca degli occhi di
Fabio, perché, secondo quel detto, la sincerità alloggia negli sguardi, non
nelle parole. Si domandava, però, quale forza oscura costringesse gli occhi di Fabio ad abbandonare il terreno di gioco dopo appena due secondi. Due
secondi non le bastavano per afferrare la verità, per mettere a fuoco quella
parte degli occhi che rifletteva e non assorbiva la luce. 2 secondi. Fabio non
le concedeva di più.
In quei due secondi Emma vedeva
molta dolcezza, un po’ di imbarazzo e un velo di lacrime che inumidivano quei
potenziali specchi dell’anima. In quei due secondi Emma veniva assorbita dal
suo sguardo, ne diventava amante segreta e non riusciva a razionalizzare per
cercare la verità celata dietro quegli occhi castani così profondi e grandi.
Mentre si guardavano negli occhi
i muri diventavano bianchi ed ogni rumore cessava. Solo il tempo continuava a
scorrere e correre. Le guance e la fronte di lui si arrossavano e questa
vampata di vita sfociava in uno dei sorrisi più belli e spontanei che Emma
avesse mai visto. Si vedeva che Fabio era innamorato di lei. Emma lo percepiva.
Ma non lo capiva. Non lo capiva perché l’intelligenza e la scaltrezza di lui
erano un ottimo scudo contro l’imbarazzo che avrebbero potuto generare quei
piccoli bagliori sui suoi zigomi. Così, quando qualcuno gli faceva notare il
rossore, Fabio, in modo sempre diverso, sdrammatizzava la situazione in modo
mai banale e senza mai tradire un filo di imbarazzo.
Emma, però, sentiva che lui
l’amava. Gli occhi di Fabio erano avari, ma il suo corpo la cercava in continuazione.
La toccava di rado e quando lo faceva ciò avveniva sempre in maniera
apparentemente casuale, come quando si è troppo stretti in un’automobile o si
porge un bicchiere di vino rosso in segno di cortesia. Ma quel contatto era bramato,
atteso e un po’ più sostenuto rispetto ad un normale scontro casuale tra corpi.
Così le gambe e gi avambracci continuavano a toccarsi dolcemente anche quando
il terzo passeggero dei sedili posteriori era appiccicato al finestrino, e lo
scambio dei calici assicurava sempre una dolce carezza alle dita
altrui.
E le parole? Le orecchie di Fabio
erano sempre vigili quando Emma parlava, troppo vigili. Lei era lusingata da
tutta l’attenzione che le era riservata. Anche quando parlavano in gruppo,
le parole di lei sembravano avere un peso diverso per il ragazzo dagli occhi
marroni. E tutti questi piccoli segnali illudevano Emma di poter tentare di
renderlo suo. Fabio non era bello, non nel senso tradizionale
del termine. Non troppo alto, non troppo muscoloso, e quando si muoveva le
ricordava un punto interrogativo. Ben lontano dall’uomo possente ed esotico che
aveva desiderato e avuto in precedenza, dal quale si era fatta guidare alla
scoperta del sesso e dal quale era scappata dopo aver capito che non sempre
l’amore dorme nel letto in cui uomo e donna si uniscono. La bellezza di Fabio,
ne era certa, risiedeva nella sua anima semplice, bella, pura, anima nella
quale avrebbe guardato servendosi del suo sguardo.
Ma Fabio non le regalava mai i
suoi occhi. Le era capitato di essere ad un soffio dal conquistarli già molte
volte. Come al party di fine estate in riva al fiume, quando assieme agli
altri colleghi si erano sdraiati a guardare cadere le ultime stelle, o all jazz club la sera in cui si esibiva il gruppo di Francesco, miglior amico di Fabio, e anche al compleanno
di Roberta, a fine ottobre, in quella cascina in campagna dove si mangiava un
buonissimo pollo al curry. Lo schema si ripeteva sempre, ciclicamente, senza
intoppo alcuno agli ingranaggi. Glieli concedeva in prestito per un po’, quei begli
occhi scuri, ma li ritraeva quando lei li avrebbe potuti riscattare.
Poi alla serata di beneficenza
organizzata dall’università Emma avrebbe potuto avere facilmente quegli occhi. Come
era successo già altre volte Fabio, con la scusa di illustrarle le stelle, le
passò un braccio attorno alle spalle stabilendo così un contatto fisico, dopo
il quale vaneggiò in discorsi troppo banali e scontati per la sua intelligenza.
In quel momento si guardarono negli occhi per l’ennesima volta. Fu Emma ad
abbassare lo sguardo quando scoccarono i due secondi, e lo fece perché quegli
occhi non erano dolci, imbarazzati ed umidi, ma vuoti ed arrossati da due
bicchieri di troppo. Emma non li voleva quegli occhi, non voleva quel Fabio che
le sembrava persino cattivo e le parlava con un linguaggio offensivo.
Emma non prese i suoi occhi
quella notte. In quell’occasione aveva scoperto una parte di Fabio che non
conosceva, o meglio, non voleva ricordare. Infatti lo aveva conosciuto al tempo in cui era un assiduo frequentatore di discoteche e sigarette,
di donne tanto facili quanto vuote, quando entrambi erano ancora studenti
dell’università e facevano la bella vita il venerdì sera. Quegli stessi anni in
cui si erano baciati per la prima ed unica volta dopo aver bevuto entrambi abbastanza
da non sentirsi responsabili quella dolce dichiarazione d’amore. Ma erano
passati anni ed Emma non ricordava nemmeno più se quel bacio fosse stato reale
o solo un succoso frutto della sua immaginazione. Quel ricordo in bianco e nero
non le faceva male, non la toccava più di tanto: in fin dei conti Emma non era
innamorata di lui, non ancora; non se lo permetteva. Era, piuttosto,
curiosa di vedere come sarebbe potuta andare tra di loro.
Di notte sognava di trascinarlo
in un vicolo buio e fare l’amore con lui, senza parlare, senza dire nulla,
affidando al corpo ogni genere di comunicazione. Sognava di prenderlo senza il
suo permesso, di baciarlo a lungo alla fermata del tram e scoprire che la sua
lingua era sottile e fredda.
Emma continuava a ripetersi che
lo avrebbe fatto, lo avrebbe baciato di nuovo senza alcool di mezzo. E quel
bacio sarebbe stato per lei importante quanto fare l’amore.
[.....Continua]